
La bioimpedenziometria (BIA) viene utilizzata spesso nella pratica clinica nutrizionale, proposta come esame volto a completare l’anamnesi fisica del paziente.
Questo strumento serve a misurare la risposta elettrica dei tessuti (impedenza e reattanza) e, tramite equazioni specifiche, la converte in grandezze più “leggibili” come liquido corporeo intra ed extracellulare, massa magra e massa grassa.
In pratica non “vede” direttamente il grasso, ma stima la composizione corporea applicando modelli statistici calibrati su popolazioni di riferimento.
Per sua natura, il test è sensibile a fattori semplici (ultimo pasto, allenamento, ciclo circadiano, stato di idratazione) e può cambiare a seconda dell’equazione usata.
Le raccomandazioni ESPEN lo chiariscono da anni: va standardizzato, interpretato con cautela, e preferibilmente con equazioni validate per età/sesso/condizione clinica.
Quando la BIA è confrontata con metodi di riferimento (la DEXA è il gold standard per l’analisi della composizione corporea), la precisione del test è spesso modesta.
Come anticipato, sono molte le variabili che possono far modificare il risultato. Questo fa della BIA un’esame poco rilevante dal punto di vista clinico e statistico. Si stima un margine di errore che può arrivare all’8% sia in eccesso che in difetto.
Ma esiste un uso più sensato? Se si riescono a standardizzare al meglio le misurazioni, la tendenza nel tempo potrà darci informazioni verosimilmente utili.
In che modo? Ripetendo le misure con lo stesso strumento, nella stessa ora e nelle stesse condizioni.
Nella pratica nutrizionale, quanto è riproducibile questo scenario?

Ma allora perché i professionisti spendono migliaia di euro per uno strumento con questi limiti? Semplice, per il valore percepito.
Fornendo un servizio aggiuntivo (anche se di dubbia utilità) il professionista potrà dare ai clienti la sensazione di un servizio di maggiore qualità.
Nella realtà dei fatti, i risultati della BIA sono fini a se stessi e non forniscono un reale aiuto al professionista per la pianificazione del piano alimentare.
Infine, basare il proprio lavoro su dati potenzialmente errati, quanto senso ha nella pratica nutrizionale?

La BIA non misura direttamente la composizione corporea, stima attraverso formule predittive e risente molto di variabili poco standardizzabili.
Può essere uno strumento accessorio per contesti specifici o pazienti particolari, ma dal nostro punto di vista la sua utilità è debole.
Per la maggior parte delle persone, un monitoraggio semplice, standardizzato e continuo (peso, circonferenze, abitudini, allenamento) è sufficiente per guidare verso scelte migliori.
Ultimo punto da non trascurare? Probabilmente costa meno sia al paziente che al professionista.
Non del tutto. Il dato è una stima, non una misurazione diretta. Varia facilmente e non ha la precisione necessaria per guidare decisioni cliniche importanti.
Solo se ha uno scopo specifico e se puoi garantire che le condizioni siano standardizzate (stesso strumento, orario, idratazione). Altrimenti, peso e circonferenze forniscono informazioni più solide.
No. La DEXA è il gold standard per analizzare la composizione corporea; la BIA è più rapida e pratica, ma molto meno precisa e spesso fuorviante se usata senza contesto.