
Negli ultimi anni, la dieta chetogenica è tornata sotto i riflettori, spesso dipinta come una strategia miracolosa per perdere peso, migliorare la glicemia e ridurre i trigliceridi. Ma è davvero sicura per tutti? La risposta, come spesso accade in medicina, è: dipende. Negli adulti in buona salute metabolica, una chetogenica ben strutturata è generalmente sicura nel breve e medio termine, soprattutto se supervisionata. Tuttavia, i benefici rispetto ad altri modelli alimentari – come la dieta mediterranea o ipocalorica classica tendono a ridursi quando si controllano le calorie, e alcuni effetti collaterali vanno conosciuti e gestiti.
Le ADA Standards of Care 2025 riconoscono la validità dei regimi a basso contenuto di carboidrati – inclusa la chetogenica a patto che siano personalizzati e ben monitorati, soprattutto nei pazienti con diabete. Gli esperti mettono in guardia dal rischio di chetoacidosi euglicemica, una complicanza rara ma grave nei soggetti in trattamento con SGLT2-inibitori, specialmente se si associa anche il digiuno. Anche la AACE 2025, nel suo algoritmo per l’obesità, sottolinea che nessun modello dietetico è universalmente superiore, e che la scelta deve basarsi su comorbilità, preferenze e sostenibilità. Infine, un’ampia umbrella review pubblicata su BMJ Medicine evidenzia che, seppur efficace per peso e glicemia, il vantaggio delle diete low-carb si riduce dopo 12 mesi.
Tra gli effetti collaterali documentati, il più discusso è l’aumento dell’LDL-C e ApoB in alcuni soggetti, soprattutto se la dieta è ricca di grassi saturi. Nel celebre trial crossover Keto-Med, a parità di calo dei trigliceridi, la chetogenica ha fatto salire l’LDL, mentre la mediterranea l’ha ridotto. Una recente meta-analisi RCT 2024 conferma la tendenza all’aumento dell’LDL nelle low-carb più spinte. Altri rischi includono i calcoli renali (fino al 6% dei casi), in particolare calcoli di acido urico, e possibili deficit di micronutrienti (folati, potassio, magnesio, fibra) se la dieta è mal progettata. Nel paziente diabetico, inoltre, non adeguare i dosaggi di insulina o sulfaniluree può portare a ipoglicemia.
Esistono categorie di pazienti per cui la dieta chetogenica è controindicata o da gestire con estrema prudenza: chi ha diabete tipo 1, malattia cardiovascolare attiva, nefrolitiasi ricorrente, ipercolesterolemia ApoB+ non controllata, ma anche le donne in gravidanza o allattamento. In questi casi, la dieta dovrebbe essere evitata del tutto o eventualmente applicata solo in contesti clinici molto controllati, con il coinvolgimento di un’équipe esperta.
Una chetogenica può essere più sicura se segui alcune regole: prediligi grassi insaturi (come olio extravergine d’oliva, avocado, frutta secca, pesce grasso) e limita i grassi saturi. Le proteine dovrebbero essere adeguate ma non eccessive (1.2–1.6 g/kg/die), mentre la quota di fibra va mantenuta usando verdure low-carb, e semi oleosi. È essenziale monitorare LDL-C/ApoB, trigliceridi, HDL, transaminasi e uricemia dopo 6–12 settimane. Nei soggetti predisposti, può essere utile valutare anche citraturia e pH urinario. Per i pazienti diabetici, infine, è fondamentale aggiustare i farmaci e insegnare le cosiddette “sick-day rules” per prevenire crisi chetoacidosiche.
La dieta chetogenica non è dannosa in sé, ma non è neanche la panacea universale. È una possibile opzione terapeutica, da riservare ai pazienti che mostrano una buona aderenza e che sono disposti a un follow-up stretto. In molti casi, una dieta mediterranea ben condotta offre benefici simili con meno rischi, soprattutto sul piano cardiovascolare. Il messaggio chiave è semplice: personalizzazione, monitoraggio e buon senso restano alla base di ogni approccio nutrizionale serio.
Non automaticamente. Tuttavia, in una parte dei soggetti aumenta LDL e ApoB, soprattutto se la qualità dei grassi è scarsa. Per questo è fondamentale monitorare il profilo lipidico e privilegiare grassi insatur
Può esserlo nel diabete tipo 2, ma solo con supervisione clinica e adattamento dei farmaci. È invece sconsigliata di routine nel diabete tipo 1 per il rischio di chetoacidosi.
Dipende dalla persona. La dieta mediterranea offre benefici simili su peso e glicemia con un profilo di sicurezza cardiovascolare più favorevole nel lungo periodo, ed è spesso più sostenibile.