
Spoiler: non c’è un timer preciso, e no, non si “accende” magicamente dopo 16 ore.
L’autofagia è una delle parole più affascinanti (e abusate) del web salutista. C’è chi dice che “si attiva dopo 12 ore”, chi giura che serve digiunare almeno 72, chi la confonde con la rigenerazione cellulare, chi con la perdita di peso.
Ma cosa succede davvero nel corpo umano? E soprattutto: quando inizia davvero l’autofagia?
L’autofagia è un meccanismo di riciclo cellulare: la cellula smonta e riusa componenti danneggiate o inutili, mantenendosi in salute. È un processo continuo, sempre attivo a livello basale, ma aumenta in risposta a stimoli specifici come:
a) Mancanza di nutrienti (digiuno, restrizione calorica)
b) Attività fisica intensa
c) Ipossia, infezioni, stress cellulare
Non è un interruttore on/off: l’autofagia non si accende “tutta insieme” in tutto il corpo. Ogni tessuto ha una risposta diversa, e il “quando” dipende da cosa stai facendo, per quanto tempo e come lo misuri.
Contrariamente alla credenza popolare, non esiste una singola "soglia" universale per l'attivazione misurabile nell'uomo e molto dipende anche da quale tessuto consideriamo:
a) Nel Fegato (la prima risposta): I segnali molecolari iniziano molto presto, dopo poche ore dall'ultimo pasto. Tuttavia, i marcatori che possiamo effettivamente misurare in modo affidabile negli esseri umani tendono a manifestarsi in modo più consistente dopo circa 20-24 ore di digiuno.
b) Nel muscolo, l’autofagia si attiva molto più rapidamente con l’esercizio rispetto al digiuno. In particolare, sedute moderate o intense, specialmente se prolungate, aumentano l’attività autofagica entro 1–2 ore, infatti il muscolo risponde di più all’esercizio che all'astensione dal cibo. In pratica: muoversi stimola l’autofagia muscolare più che stare fermi e digiunare.
La parte più complicata è cercare di "misurarla". Nonostante si parli spesso di marcatori come LC3, p62 o Beclin1, questi sono in realtà solo segnali indiretti. Per avere la certezza di un flusso autofagico attivo, bisognerebbe misurare l'intero ciclo di attivazione e degradazione, un'impresa estremamente difficile da realizzare nell'uomo in vivo.
Ecco perché è importante sottolineare: non esistono test di laboratorio standard che possano dirti con precisione se sei "in autofagia".
In sintesi, la velocità e il modo in cui l'autofagia si intensifica dipendono da:
1) Lo Stimolo: Il digiuno fornisce un effetto graduale, più lento, ma sistemico (che coinvolge molti organi). L'esercizio fisico fornisce invece un effetto rapido e localizzato (principalmente nei muscoli).
2) Il Tessuto: Il fegato è il primo organo a rispondere in modo significativo al digiuno, mentre il muscolo risponde meglio all'attività fisica.
3) Durata/Intensità: Come per ogni processo biologico, maggiore è la durata e l'intensità dello stimolo (un digiuno più lungo, un allenamento più intenso), più evidenti saranno i segnali di attivazione.
La vera morale è che non è necessario inseguire un "superpotere" da sbloccare a tutti i costi. L'autofagia è un meccanismo di base essenziale che è già attivo.
Per potenziarla, non serve un "record di ore a digiuno". È molto più utile concentrarsi su strategie semplici e sostenibili: mantenimento del giusto peso corporeo, allenarsi regolarmente e dormire bene. Non ci sono prove certe che superare le 24-36 ore di digiuno porti vantaggi aggiuntivi in persone sane.
No. È una semplificazione. L’autofagia è già attiva in modo basale e aumenta progressivamente con la mancanza di nutrienti, ma la soglia delle 16 ore non ha basi solide nella ricerca umana.
No. Anche l’esercizio fisico, il sonno adeguato e una dieta equilibrata modulano l’autofagia. L’attività fisica, in particolare, la stimola molto più rapidamente del digiuno prolungato.
No. I marker usati in laboratorio (come LC3 o p62) non sono applicabili alla pratica clinica. Non ci sono esami del sangue o kit affidabili per misurare l’autofagia nel corpo umano.
Guidelines for the use and interpretation of assays for monitoring autophagy (4th edition)1
mTOR Signaling in Growth, Metabolism, and Disease
Influence of intermittent fasting on autophagy in the liver
Measurement of autophagic flux in humans: an optimized method for blood samples