
Il digiuno intermittente (IF) e la sua versione più soft, il time-restricted eating (TRE), sono tra le strategie alimentari più popolari del momento. C’è chi li segue per dimagrire, chi per “disintossicarsi”, chi li propone come alternativa terapeutica nel diabete tipo 2. Ma cosa dice davvero la scienza?
Facciamo chiarezza, partendo da un punto fermo: né l’IF né il TRE sono cure magiche, ma possono diventare strumenti utili se inseriti nel giusto contesto clinico. Specialmente nel diabete, dove la sicurezza viene prima di tutto.
Le ADA Standards of Care 2025, il riferimento più autorevole per la gestione del diabete, sono chiare: non esiste un modello alimentare superiore in assoluto, ma solo quello che meglio si adatta al paziente. Il digiuno intermittente, se ben tollerato e supervisionato, può essere una strategia valida per chi cerca di migliorare l’aderenza al deficit calorico, ma non è sistematicamente più efficace delle classiche diete ipocaloriche continue.
Nel 2025, per la prima volta, l’ADA ha incluso una sezione intera dedicata al fasting (religioso e non), raccomandando una valutazione preventiva del rischio e un piano personalizzato di aggiustamento dei farmaci prima di iniziare. Un principio ripreso anche dalla guida internazionale IDF-DaR, che propone un algoritmo per stratificare il rischio, adattare la terapia e monitorare i parametri durante il digiuno, religioso o meno.
Tradotto: IF e TRE sono strumenti possibili, ma vanno maneggiati con competenza.
Le prove a disposizione mostrano risultati interessanti, ma va fatta una distinzione. In pazienti con diabete tipo 2 o prediabete, diversi studi randomizzati controllati (RCT) hanno dimostrato che il digiuno può portare a:
1) Un calo di peso significativo,
2) Una modesta riduzione dell’HbA1c,
3) Un miglioramento di alcuni parametri metabolici.
Ad esempio, lo studio EARLY (JAMA 2024) ha confrontato lo schema 5:2 con metformina ed empagliflozin in persone con diabete recente. Dopo 16 settimane, il gruppo IF ha mostrato migliori risultati sull’HbA1c e sul peso, ma va detto che seguivano anche un protocollo strutturato con pasti sostitutivi ipocalorici: quindi non è solo il digiuno a fare la differenza, ma il contesto.
Altri studi su schemi più leggeri, come il TRE (es. mangiare solo in una finestra di 8–10 ore), hanno confermato un modesto beneficio sul peso corporeo, ma nessuna differenza sostanziale nel controllo glicemico rispetto alla restrizione calorica continua. Le metanalisi più recenti parlano chiaro: IF e TRE non sono superiori alla dieta classica, ma possono essere equivalenti, se ben seguiti.
Se c’è una cosa che non si può ignorare, è la sicurezza. In chi assume insulina o farmaci ipoglicemizzanti (come le sulfoniluree), ridurre drasticamente l’apporto di cibo senza modificare le dosi può aumentare il rischio di ipoglicemie gravi. E in chi assume SGLT2-inibitori, il digiuno prolungato e la chetosi possono scatenare una condizione rara ma pericolosa: la chetoacidosi euglicemica (EDKA).
Nel diabete tipo 1, il digiuno non è raccomandato in routine: se scelto (per motivi religiosi, ad esempio), è fondamentale essere seguiti da un team esperto, con il supporto di tecnologie avanzate come i sensori CGM e una terapia insulinica flessibile.
In tutti i casi, la regola d’oro è questa: mai improvvisare. Prima si valuta il rischio, poi si decide come e se procedere.
Se sei un paziente con diabete tipo 2, e stai valutando il digiuno intermittente, parla con un professionista. L’IF può aiutarti solo se ti aiuta davvero a seguire il tuo piano alimentare nel lungo periodo, senza mettere a rischio la salute.
Il messaggio delle linee guida e degli studi più aggiornati è semplice: il digiuno intermittente non è migliore di una dieta ipocalorica continua, ma può essere una buona opzione se ben tollerato, sostenibile e sicuro.
Sì, ma non più di una classica dieta ipocalorica. La riduzione della glicemia e dell’HbA1c dipende soprattutto dal deficit calorico e dal calo di peso, non dal metodo utilizzato per ottenerlo. Il digiuno intermittente e il time restriction eatinng sono equivalenti ad altri approcci, non superiori.
Solo se gestito da un professionista. Questi farmaci possono causare ipoglicemie in condizioni di digiuno prolungato. Le linee guida ADA 2025 raccomandano un aggiustamento preventivo delle dosi e un monitoraggio attento. Mai improvvisare.
No, non come pratica libera. Può essere valutato solo per motivi religiosi e con un team esperto, CGM e protocolli dedicati. Il rischio di chetoacidosi — anche con glicemia normale — è molto più alto.